Dal Covid futuro a forte rischio per il 44% delle imprese italiane

Nonostante la ripresa, seppur non ancora consolidata né omogenea in atto e le stime previsionali di un marcato rimbalzo del Pil, (5%), la pandemia potrebbe lasciare cicatrici indelebili sul tessuto produttivo del nostro Paese.

Il monito giunge dal recente Rapporto annale dell’Istat che, abbracciando tutti i segmenti produttivi e inclusivi di aziende di ogni dimensione e collocazione geografica e analizzando i valori espressi da una serie di indicatori, ha suddiviso le aziende in quattro classi.

Le prima due racchiudono le imprese solide, che non hanno risentito in alcun modo della crisi e che costituiscono l’ 11% del totale, garantiscono il 46% dell’occupazione e quasi il 69% del valore aggiunto e quelle resistenti, in grado di superare, pur con qualche difficoltà, i postumi del Covid 19, che sono più del 19% dell’intero apparato produttivo, impiegano il 9% della forza lavoro complessiva per un valore aggiunto di poco inferiore al 15%.

Gli altri due raggruppamenti sono afferenti invece alla cosiddetta area di criticità, nella quale trovano spazio le imprese fragili (25%), che impegnano il 15% degli addetti e recano poco meno del 9,5% del valore aggiunto e quelle a forte rischio strutturale che sono ben il 44% del totale, in cui opera il 6% della forza lavoro attiva e contribuiscono nella misura del 7% scarso al valore aggiunto.

Uno scenario, secondo le analisi dell’Istituto, che richiederebbe pertanto interventi immediati a supporto delle realtà meno resilienti il cui eventuale abbandono del mercato, anche se solo in minima parte, genererebbe una forte crisi occupazionale di non facile risoluzione considerato che i settori, in primis quello del terziario, tradizionalmente capaci di assorbire gli esuberi di altri comparti, non avrebbero capacità ricettiva in quanto fra i più lenti nella ripartenza.

 

“Il Piccolo”, pag. 29